Le mine non discriminano. Neppure in Giordania.

Articolo di Olimpia Sermonti

Le mine non discriminano, non guardano al colore della divisa anzi, non guardano proprio a che tu una divisa ce l’abbia. Infatti, secondo il rapporto Landmine Monitor 2017 pubblicato dall’International Campaign to ban Landmines, il 78% delle vittime (feriti e deceduti) registrate è un civile. Ma la mina non guarda neanche alla tua età. Per questo motivo, delle 23 vittime colpite da una mina ogni giorno, quasi una su due colpisce un bambino.

Il 2016, con un totale di 8605, rappresenta l’anno in cui si è registrato il più alto numero di vittime per mine antiuomo dal 1999, anno di entrata in vigore della Convenzione internazionale per la proibizione dell’uso, stoccaggio, produzione e vendita di mine antiuomo e della loro relativa distruzione conosciuta anche come trattato di Ottawa che oggi conta 162 Parti Contraenti.

I danni causati dalle mine inesplose non riguardano però solo le vite umane. Le zone contaminate sono incoltivabili e viene quindi limitato lo sviluppo agricolo ma anche, e soprattutto, le capacità di sostentamento alimentare di una popolazione che, come indica la stessa presenza di mine sul territorio, è già afflitta dai danni di un conflitto. Inoltre va considerato anche il ritardo nel rientro verso le proprie case per i rifugiati che sono fuggiti da un conflitto. Anche quando quest’ultimo termina, la popolazione non può rientrare nelle proprie case a causa della presenza di mine inesplose. Le aree minate e disseminate di ordigni inesplosi impediscono la libera mobilità delle persone, che si tratti di fuggire o di rientrare a casa dopo la fine del conflitto. È esattamente quello che sta accadendo oggi in Siria dove, come afferma la coordinatrice dell’emergenza in Siria per Medici Senza Frontiere, “È molto pericoloso per le persone tornare a casa; ci sono trappole esplosive piazzate ovunque, sotto i tappeti, nei frigoriferi, addirittura negli orsetti di peluche dei bambini”. Come se non bastasse, l’elevato rischio funge da deterrente per le organizzazioni umanitarie limitando le loro capacità di fornire assistenza, aggravando così la già disperata situazione di coloro che si trovano nelle aree devastate dal conflitto.

L’Italia, fino a metà degli anni Novanta ha avuto il triste primato nella produzione di mine anti-uomo. Con la legge 106 del 23/04/1999 il nostro paese ha ratificato il trattato di Ottawa, bandendo così la ricerca tecnologica in materia di produzione di mine, il trasferimento di brevetti e sancendo severe sanzioni penali oltre ad imporre la distruzione di tutte le scorte entro cinque anni dall’entrata in vigore della legge. Nel gennaio del 2003, è stato annunciato il completamento della distruzione delle 7 milioni di mine antiuomo presenti negli arsenali militari italiani.

Ma qual è la situazione attuale?

Grazie all’estenuante lavoro della Rete Italiana per il Disarmo di cui è parte la Campagna Italiana contro le Mine, dopo 7 anni di iter, con soli 3 voti astenuti e nessun contrario, il 3 ottobre 2017 la Camera dei Deputati ha adottato la proposta di legge relativa alle “misure per contrastare il finanziamento delle imprese produttrici di mine antipersona, di munizioni e submunizioni a grappolo”. Il documento votato in Parlamento, definisce le modalità di verifica e controllo da parte degli organismi di vigilanza e vieta gli investimenti finanziari a favore di industrie che producono in Italia o in Paesi terzi mine anti-persona e munizioni a grappolo o anche solo di parti di esse. La legge si estende anche alle società che svolgono qualsiasi tipo di attività relativa a questi armamenti, dalla costruzione alla detenzione, dalla distribuzione all’importazione, dalla vendita al trasporto. Un’ottima risposta nazionale alle richieste portate avanti dalla campagna #NoMoneyForBombs.

Purtroppo, quella che rappresenterebbe una delle leggi più avanzate a livello globale in materia di finanziamenti bellici è stata rinviata al mittente dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella in quanto, secondo il Quirinale, uno specifico comma (il 2 dell’articolo 6) “contrasta con l’articolo 3 della Costituzione che vieta ogni irragionevole disparità di trattamento fra soggetti rispetto alla medesima condotta” perché “determinerebbe l’esclusione della sanzione penale per determinati soggetti che rivestono ruoli apicali e di controllo”.

Tradotto dal giuridichese: il reato verrebbe depenalizzato, ad esempio, per i vertici degli istituti bancari, delle società di intermediazione finanziaria e degli altri intermediari abilitati mentre per coloro che sono privi di questa qualificazione, si manterrebbe la sanzione penale, che prevede la reclusione da 3 a 12 anni, oltre alla multa da 258.228 a 516.456 euro.

Un grazie, quindi, è dovuto al Presidente Mattarella per non aver approvato una legge che con un singolo comma, di fatto, avrebbe favorito i vertici degli istituti finanziari. Questo, però, accadeva a fine Ottobre 2017. Nel frattempo le camere sono state sciolte e ad un mese dalle elezioni c’è da chiedersi quante vittime dovremmo ancora contare prima che, sempre che lo faccia, il Parlamento modifichi quel comma e la legge venga promulgata.

IMG_7732

In Giordania, dove operiamo, è stato istituito il The National Committee for Demining and Rehabilitation, con l’obiettivo ambizioso di eliminare tutti gli ordigni ancora presenti sul territorio, concentrati soprattutto nella Valle del Giordano, al confine con Israele e Siria.

Fra i tanti sopravvissuti che abbiamo incontrato nel nostro lavoro qui, c’è Samy, un agricoltore giordano…
Quando lavori la terra non c’è nulla di più importante delle tue mani e delle tue braccia. Capire se un frutto è maturo stringendolo tra le dita, oltre a osservarne il colore, respirarne il profumo… Samy le sue mani non le ha più da un po’. Gliele hanno amputate quando ha avuto la sfortuna di mettere piede su una mina inesplosa, eppure la sua vita va avanti. E noi, come parte dello staff di Un Ponte Per…, lo accompagniamo, nella convinzione che neppure le bombe possano distruggere il futuro.